domenica 29 novembre 2015

Lo stalker

LO STALKING: CONOSCERLO E DIFENDERSI

A cura della Dott.ssa Monica Monaco
Alcuni comportamenti come telefonate, sms, e-mail, “visite a sorpresa” e perfino l’invio di fiori o regali, possono essere graditi segni di affetto che, tuttavia a volte, possono trasformarsi in vere e proprie forme di persecuzione in grado di limitare la libertà di una persona e di violare la sua privacy, giungendo perfino a spaventare chi ne è destinatario suo malgrado. 
A diventare “molestatore assillante” o “stalker” può essere una persona conosciuta con cui si aveva qualche tipo di relazione o perfino uno sconosciuto con cui ci si è scontrati anche solo per caso, magari per motivi di lavoro.
Inseguimento, molestia, persecuzione

Inseguimento, molestia e persecuzione possono manifestarsi sotto innumerevoli forme. 
Esse possono essere qualcosa di sporadico oppure possono essere insistenti manifestazioni di un fenomeno psicologico e sociale conosciuto soprattutto con il nome di“stalking” , ma chiamato anche“sindrome del molestatore assillante” , “inseguimento ossessivo” o anche obsessional following . La terminologia più comune, quella di “stalking”, è stata coniata con la finalità di raffigurare simbolicamente, con un termine in lingua inglese che significa “appostarsi”, l’atteggiamento di chi mette in atto molestie assillanti e per questo viene definito “stalker”. 
Il “molestatore assillante” manifesta, infatti, un complesso insieme di comportamenti che vengono ben racchiusi sinteticamente dall’espressione “fare la posta” che comprende l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla “vittima” e sui suoi movimenti, comportamenti che sono quasi sempre “tipici” di tutti gli stalkers, al di là delle differenze rilevate di situazione in situazione.
In effetti alcuni studi compiuti su questo fenomeno (Mullen P. E. & al., 2000) hanno distinto due categorie di comportamenti attraverso i quali si può attuare lo stalking.
  • La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive , che includono tutti i comportamenti con scopo di trasmettere messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui desideri o sulle intenzioni, tanto relativi a stati affettivi amorosi (anche se in forme coatte o dipendenti) che a vissuti di odio, rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti o murales.
  • Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti , che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante comportamenti diconfronto diretto , quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni. Generalmente non si ritrovano due tipologie separate “pure” di stalkers, ma molestie in forme miste in cui alla prima tipologia, in genere segue la seconda specie di azioni.
Il comportamento stalkizzante è stato delineato nei suoi dettagli più specifici che permettono di distinguerlo da comportamenti simili (Galeazzi G.M., Curci P., 2001). A tal proposito, sono particolarmente importanti tre caratteristiche di una molestia perché si possa parlare di “stalking”:
  1. l’attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideo-affettivo, basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o totalmente immaginata (in base alla personalità di partenza e al livello di contatto con la realtà mantenuto);
  2. lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o sul contatto, ma in ogni caso connotati dalla ripetizione, insistenza e intrusività;
  3. la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale dello stalker e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima stalkizzata, definita anche stalking victim, in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti psicologici possono essere legati sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, che alla preoccupazione e all’angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità.
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Identikit del molestatore assillante
La coazione che connota il comportamento di stalking, e che permette di delinearlo anche giuridicamente, ha fatto ipotizzare che tale problema fosse una forma di “disturbo ossessivo”. Tuttavia, come è stato osservato, i disturbi psicopatologici ossessivi sono connotati da vissuti egodistonici relativi ai comportamenti attuati e, conseguentemente, da un malessere provocato dalle idee, dai pensieri, dalle immagini mentali e dagli impulsi ossessivi legati alla persecuzione. Questi vissuti di disagio e di intrusione in realtà non risultano presenti in genere negli stalkers che, al contrario, tendono perfino a trarre piacere dal perseguitare.
È molto importante sottolineare altresì che lo stalking non è un fenomeno omogeneo; pertanto, risulta difficile fare rientrare i molestatori assillanti in una categoria diagnostica precisa o identificare sempre la presenza di una vera e propria patologia mentale di riferimento. Gli stalkers non sono sempre persone con un disturbo mentale e, anche se esistono alcune forme di persecuzione che sono agite nel contesto di un quadro psicopatologico, questa non è una condizione sempre presente così come non esiste sempre un abuso di sostanze associato al comportamento stalkizzante.
Ciò che è importante comprendere è che dietro a comportamenti di molestia simili possono celarsi motivazioni anche molto differenti tra loro. A questa conclusione si è giunti in seguito a studi che hanno esaminato il profilo psicologico di numerosi stalkers e, sulla scorta dei quali, si è giunti ad individuare cinque tipologie di stalkers , distinti in base ai bisogni e desideri che fanno da motore motivazionale (Mullen et al., 1999).
  1. Una prima tipologia di molestatore insistente è stata definita “il risentito” . Il suo comportamento è sospinto dal desiderio di vendicarsi di un danno o di un torto che ritiene di aver subito ed è quindi alimentato dalla ricerca di vendetta. Si tratta di una categoria piuttosto pericolosa che può ledere prima l’immagine della persona e poi la persona stessa. Il problema più grave è legato alla scarsa analisi della realtà: perché il risentimento fa considerare giustificati i propri comportamenti che, producendo sensazioni di controllo sulla realtà, tendono a loro volta a rinforzarli.
  2. La seconda tipologia di stalker è stata denominata “il bisognoso d’affetto” , una tipologia che è motivata dalla ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare l’amicizia o l’amore. La vittima in genere viene considerata, per via di una generalizzazione a partire da una o più caratteristiche osservate anche superficialmente, vicina al “partner o amico/a ideale”, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la relazione desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore o affetto. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di sbloccarsi e superare qualche difficoltà psicologica o concreta. Questa categoria include anche la forma definita “delirio erotomane”, in cui il bisogno di affetto viene erotizzato e lo/la stalker tende a leggere nelle risposte della vittima un desiderio a cui lei/lui resiste. L’idea di un rifiuto, vissuto come un’intollerabile attacco all’Io, viene respinta con grande energia e strutturando un’alta difesa basata sull’allontanamento della percezione reale dell’altro, delle sue reazioni e della relazione reale che viene sostituita da quella immaginaria.
  3. Una terza tipologia di persecutore è quella definita “il corteggiatore incompetente” , che tiene un comportamento alimentato dalla sua scarsa o inesistente competenza relazionale che si traduce in comportamenti opprimenti, espliciti e, quando non riesce a raggiungere i risultati sperati, anche aggressivi e villani. Questo tipo di molestatore è generalmente meno resistente nel tempo nel perseguire la persecuzione della stessa vittima, ma tende a riproporre i propri schemi comportamentali cambiando persona da molestare.
  4. Esiste poi “il respinto” , un persecutore che diventa tale in reazione ad un rifiuto. È in genere un ex che mira a ristabilire la relazione oppure a vendicarsi per l’abbandono. Spesso oscilla tra i due desideri, manifestando comportamenti estremamente duraturi nel tempo che non si lasciano intimorire dalle reazioni negative manifestate dalla vittima: la persecuzione infatti rappresenta comunque una forma di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, percepita come intollerabile. Nella psicologia di questo tipo di “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato che è una delle forme di tipo insicuro, in grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di annullamento del Sé.
  5. Infine, è stata descritta una categoria di stalker definita “il predatore” e costituita da un molestatore che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi nella sfera sessuale, quali pedofili o feticisti.
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La vittima e il legame con il suo Stalker
Molte persone che subiscono molestie assillanti sono donne di un’età più frequentemente compresa tra i 18 e i 24 anni. Tuttavia, alcuni tipi di persecuzioni, quali ad esempio quelle legate al risentimento o alla paura di perdere la relazione che nasce dall’essere respinti, sono rivolte principalmente a donne tra i 35 e i 44 anni.
Alcuni studi sul fenomeno in esame hanno mostrato dei risultati interessanti che servono a riflettere ulteriormente sulle caratteristiche delle vittime di stalking e sull’importanza della relazione che, spesso solo nella mente dello stalker, si instaura con tutta la capacità di influenza che può esercitare una relazione reale. A questo proposito si è riscontrato che esiste una “categoria sociale a rischio di stalking” rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosiddette “professioni d’aiuto”, vale a dire i medici, gli psicologi, gli infermieri e ogni altra sorta di “helper”. Ciò sembra trovare due spiegazioni: da un lato questi professionisti entrano in contatto con bisogni profondi di aiuto delle persone e possono facilmente divenire vittime di proiezioni di affetti e relazioni interiorizzate; dall’altro le eccessive speranze di alcuni “pazienti” possono essere tradite dalla quotidianità professionale e lo stalking diventa una domanda di attenzione o una ricerca di vendetta per l’attribuzione di responsabilità sulla salute o sulla vita propria o dei propri cari, aspetti che non sono in realtà mai completamente nelle mani di nessuno.
Tecniche di comportamento Antistalking
Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare facilmente delle modalità comportamentali di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse tipologie di persecutori.
Esistono tuttavia alcune regole utili.
  • Innanzitutto, inutile negare il problema. Spesso, dal momento che nessuno vuole considerarsi una “vittima”, si tende a evitare di riconoscersi in pericolo, finendo per sottovalutare il rischio e aiutando così lo stalker. Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori rispetto a quelle adottate dalle persone che non hanno questo problema. Occorre informarsi sull’argomento e comprendere i rischi reali, seguendo dei comportamenti volti a scoraggiare, quando è possibile, gli atti di molestia assillante.
  • Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro. Altri sforzi di convincere il proprio persecutore insistente, comprese improvvisate interpretazioni psicologiche che lo/la additano come bisognoso di aiuto e di cure, saranno lette come reazioni ai suoi comportamenti e quindi rappresenteranno dei rinforzi, in quanto attenzioni. Anche la restituzione di un regalo non gradito, una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.
  • Comportamenti molto efficaci per difendersi dal rischio di aggressioni sono quelli prudenti in cui si esce senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, magari adottando un cane addestrato alla difesa, un modo che si è rivelato molto utile sia come concreta difesa che per aumentare la sensazione di sicurezza.
  • Se le molestie sono telefoniche, non cambiare numero. Anche in questo caso, le frustrazioni aumenterebbero la motivazione allo stalking. È meglio cercare di ottenere una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerate la soneria e rispondete gradualmente sempre meno.
  • Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.
  • È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza.
  • Se si pensa di essere in pericolo o seguiti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.
Le conseguenze dello Stalking
Purtroppo spesso, soprattutto per via di norme giuridiche che limitano gli interventi di prevenzione delle situazioni di emergenza, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima, ma anche per chi lo agisce e, talvolta, per chi lo osserva.
La vittima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le conseguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.
Lo stalker che agisce compulsivamente tende a seguire i propri bisogni e a negare la realtà, danneggiando progressivamente la propria salute mentale e la qualità della propria vita sociale che si deteriorano sempre di più, via via che la persecuzione si protrae nel tempo.
Il pubblico degli episodi di stalking può essere il ristretto pubblico familiare che, identificandosi empaticamente alla vittima, può sviluppare preoccupazioni per la persona cara o forme vicarie di paura ed ansia. Ma il pubblico in senso ampio, grazie all’importante ruolo dei mass media, è la società, in cui l’esempio della violazione della privacy tollerata può rappresentare un modello comportamentale che alimenta le possibilità di nuovi fenomeni, anche perché quelli agiti spesso vengono spiegati (e parzialmente giustificati) sulla base di “possibili raptus” o di “eccessi di amore”.
Approfondimenti bibliografici
  • Meloy J. R., 1998, The psychology of stalking, Academic Press.
  • Mullen P.E., Pathè M., Purcell R., Stuart G., 1999, A study of stalkers. In American Journal of Psychiatry, 156, 1244-1249.
  • Oliviero Ferraris A., 2001, Stalker il persecutore. In Psicologia Contemporanea, 164, 18-25
Tratto da: http://www.benessere.com/psicologia/arg00/sindrome_molestatore.htm

giovedì 26 novembre 2015

La nevrosi ossessiva

La nevrosi ossessiva
 
Il primo autore che fece luce sulla psicodinamica della nevrosi ossessiva fu Freud. In “Introduzione alla psicoanalisi”, descrivendone il quadro clinico, la definisce in questo modo suggestivo: “ E’ questa certamente una pazza malattia. Credo che la più sbrigliata fantasia psichiatrica non sarebbe riuscita a costruire qualcosa di simile, e se non si potesse averla sott’occhio tutti i giorni nessuno si risolverebbe a crederci”. Naturalmente, tutte le malattie psichiche sono “pazze”, e Freud lo sapeva bene, ma con la sua originale definizione voleva riferirsi alla manifesta irrazionalità delle coazioni e/o ossessioni del paziente, nonché alla inutilità dei rituali ossessivi o della ruminazione mentale. Oltretutto, in un paziente con “ …un carattere tendenzialmente molto energico, spesso straordinariamente ostinato, e di regola intellettualmente dotato al di sopra della media” (ibid.).
Ma vediamo le cose un po’ più da vicino. In tutte le nevrosi si evidenzia un conflitto tra le forze dell’Io e le forze pulsionali. In alcuni casi, le forze dell’Io sono poco impegnate e, in questo caso, l’Io è discretamente in grado di svolgere le sue funzioni quasi normalmente, in altri casi, le forze pulsionali spingono prepotentemente per affermarsi, alterando il comportamento del soggetto nelle sue attività  o nei suoi pensieri.
Nella nevrosi ossessiva, la prima e più visibile alterazione nel soggetto è quella che si riferisce alla sua volontà. Egli è costretto a pensare o ad agire come non vorrebbe, secondo un stile contrario alla sua intelligenza e al comune buon senso. Una forza irrazionale interna lo obbliga a delle ossessioni o a delle  coazioni che non gli danno tregua e mettono a dura prova le capacità di tenuta dell’Io.
Diciamo subito che sia i pensieri che le azioni sono dei derivati pulsionali. Questi derivati esprimono, certe volte direttamente, altre volte in modo associativo con la pulsione originaria, l’impulso rimosso in quanto inaccettabile alla coscienza, trasformato in pensiero o azione
In qualche caso, la nevrosi ossessiva si sviluppa da una altra nevrosi. Per esempio, nella fobia non c’è soltanto la paura della cosa temuta, c’è anche la preoccupazione che si possa essere coinvolti in qualche modo nella situazione fobica. Per evitare questo pericolo, il soggetto attiva una serie di strategie, in modo attento e puntiglioso, che quando diventano eccessive e rigide segnano, appunto, il passaggio dalla fobia alla nevrosi ossessiva. In questo senso, la paura dello sporco, tipica del soggetto fobico, può trasformarsi nel rituale di lavarsi le mani andando ben oltre la necessità igienica di essere puliti, diventando una vera e propria coazione. In alcuni casi, il soggetto non vuole perdere il contatto con la pulsione rimossa, ma tende a  viverla in modo mascherato ed eccessivo: la paura dei luoghi alti si può trasformare nell’ossessione di lanciarsi da grandi altezze, esibendo così un comportamento controfobico.
Un elemento tipico e ben osservabile nella nevrosi ossessiva  è l’impulso ad obbedire ad un comando interno. Il soggetto non vorrebbe, in certi casi, comportarsi come la coazione gli impone, ma si sente impotente nella sua volontà perché una forza interna sconosciuta e fortissima gli ordina di esibire quel certo comportamento e nessun altro. In altri casi, vorrebbe fare una certa cosa ma si sente costretto a modificare il suo obiettivo nel momento stesso in cui si sta accingendo a procedere nel suo intento. In questi casi, è l’istanza superegoica che comanda:  l’Io del soggetto si sente costretto ad ubbidire ad una entità più forte ed autorevole di lui, come da bambino si sentiva dominato dall’autorità dei genitori.
A questo punto, potrebbe sorgere un’obiezione. Le coazioni e le ossessioni sono derivati pulsionali, oppure esprimono tendenze anti istintuali? La risposta, come in tutte le cose complesse, è che il sintomo ossessivo esprime sia la pulsione, sia la difesa da essa. Il fatto è che la pulsione del nevrotico ossessivo non è né lecita, né realistica. Di qui, il bisogno di trattenerla, censurarla, insomma, bloccarla, e quando avviene ciò, prevale la difesa. D’altra parte, la carica energetica della pulsione è sempre molto alta, e l’Io è spesso impotente nei suoi tentativi di fermare la pulsione nella sua corsa verso il soddisfacimento. Alla fine, perciò, la pulsione si afferma, anche se, ad un’attenta osservazione, si può notare che essa mantiene i suoi caratteri difensivi. Fenichel (1951) riferisce alcuni esempi che possono chiarire quanto abbiamo affermato:
“ Un paziente era capace di dissipare l’angoscia che appariva dopo la masturbazione tendendo i muscoli delle gambe. Questa tensione fu sostituita in seguito da un battere ritmico sulle gambe, e più tardi ancora da un altro atto masturbatorio. Un altro paziente aveva dei rimorsi dopo aver compiuto degli esercizi ginnici. L’analisi mostrò che gli esercizi rappresentavano la masturbazione. Poi questo rimorso, che egli aveva placato col suo comportamento ossessivo, finì col suggerirgli l’idea: “ Ora masturbati e rovinati completamente!”, ed egli era costretto a masturbarsi diverse volte di seguito, senza provare alcun piacere.”
Continuando nella sua trattazione, Fenichel (ibid.) osserva che nella nevrosi ossessiva l’elemento nucleare del conflitto è il complesso edipico:
“ Un paziente, sfortunatamente non analizzato, accusava due forme di impulsi ossessivi. Ogniqualvolta vedeva una donna, era obbligato a pensare: ” Potrei ucciderla”; e quando vedeva coltelli o forbici pensava: “ Posso tagliarmi il pene”. Il primo di questi pensieri era stato formulato originariamente nel modo seguente: “ Potrei uccidere mia madre”; l’estenderlo ad altre donne era già una deformazione per mezzo della generalizzazione. Il paziente viveva una vita solitaria, e i suoi soli sfoghi sessuali consistevano in “sogni bagnati” nei quali si vedeva strangolare le donne, o ucciderle con qualche altro metodo. Così il suo impulso ad uccidere le donne era una deformazione del suo desiderio incestuoso. Eliminando questa deformazione, si può affermare che il paziente soffriva di due impulsi: aggredire sua madre sessualmente, e tagliarsi il pene. Ora i suoi impulsi possono essere capiti come un sintomo bifasico: la prima metà rappresenta la soddisfazione del desiderio edipico, la seconda la punizione temuta ”.
A questo punto, occorre fare una precisazione. Nell’analisi dei nevrotici coatti si notano, con frequenza ed evidente chiarezza, impulsi sadico-anali. Nell’esempio sopra riportato in cui il paziente vorrebbe uccidere la madre, si possono osservare sia il desiderio sessuale nei confronti della madre vissuto in modo sadico, sia il bisogno di punizione per lenire i forti sensi di colpa. Come si può vedere, c’è un conflitto tra il bisogno di esprimere una sessualità aggressiva e crudele ed il bisogno di rimediare ai disturbanti contenuti psichici del desiderio con un’autocastrazione riparatrice. Questo orientamento psichico discende da un carattere sadico-anale che si può osservare in tante forme diverse. Si sa che i nevrotici ossessivi amano la pulizia, ma ad una attenta analisi si possono rintracciare bisogni di degradare l’ambiente esterno, come fanno i bambini nella fase anale con le feci. E così, si possono osservare tante apparenti contraddizioni: ordine e disordine, pulizia e sporcizia, crudeltà e gentilezza.
Ora, se gli impulsi che sottendono la sintomatologia ossessiva vanno riferiti ad un’organizzazione sadico-anale che precede quella fallico-edipica, come si spiega l’importanza del complesso edipico nell’eziologia della nevrosi ossessiva? Facendo riferimento ancora a Fenichel, nell’opera citata, che a sua volta attinge a Freud (567, 581, 596, 618), l’apparente contraddizione si spiega con il concetto di regressione:
” Si ha l’impressione che gli impulsi sadico-anali crebbero a spese degli impulsi fallico-edipici originali; gli impulsi edipici genitali diminuiscono in rapporto al rafforzarsi degli impulsi sadico-anali. I pazienti, nel tentativo di tener lontano il complesso edipico, regrediscono, in parte, al livello sadico anale”.
Se le cose stanno così, s’impone, a questo punto,  una descrizione della dinamica evolutiva relativa alla fase anale che, verosimilmente, nel paziente ossessivo è stata vissuta con particolare pregnanza, divenendo punto di “fissazione” e, quindi, momento evolutivo appetibile e facilmente cercato dalla regressione, quando questa si attiva.
Questa fase evolutiva, che segue quella orale e sadico-orale, rappresenta un periodo antico di maturazione dell’Io ma, nel contempo, è un momento importante del processo evolutivo, perché è proprio in questo periodo che il bambino inizia i primi processi veri di individuazione e di affermazione del proprio Sé. Se si fa caso, è proprio intorno ai due anni che il bambino utilizza massicciamente il No. Questa oppositività non è generica capricciosità, al contrario, rappresenta il tentativo di superamento di una delle tre antitesi psichiche che si affrontano nel corso del processo evolutivo, e devono essere superate. Da poco tempo, nel corso della fase orale, il bambino ha provvisoriamente e parzialmente superato l’antitesi tra attività e passività. Sciolta la simbiosi con la madre, emancipatosi dai suoi bisogni di dipendenza assoluta dei primi mesi di vita, riesce ad individuarsi, almeno, nel senso di essere in grado di operare una distinzione tra Io e Non-io. A partire da questo momento, giacché non è più “confuso” con la madre, deve riuscire a darsi una sia pure rudimentale identità che lo definisca sempre meglio come individuo. Il progetto è senz’altro stimolante per il bambino, ma irto di difficoltà, interne ed esterne. Il bambino, per emanciparsi dalla madre, deve rinunciare ai suoi bisogni di protezione non ancora superati, evidentemente incompatibili con una vera emancipazione. D’altra parte, la madre, o un suo equivalente, se da un lato favorisce l’autonomia del figlio, dall’altra, la frena per una serie di motivi che sono più o meno numerosi a seconda del suo grado di equilibrio. In questo senso, l’oppositività del bambino è un modo di resistere, da un lato, alle sue tentazioni interne che come sirene lo chiamano alla placida passività dei primi mesi di vita e, in generale, di tutto il primo anno, dall’altro, alla madre che tende a proteggerlo, e plasmarlo secondo le sue vedute su ciò che suo figlio deve essere e dovrà diventare. In questo mare di dubbi, ritrosie e, certe volte, impedimenti, l’assenza del No da parte del bambino renderebbe incerti i confini dell’Io appena abbozzati. E, così, il bambino attiva il No – una delle prime parole imparate - , evita i rischi di cui abbiamo detto, ma entra, inevitabilmente, in conflitto con la madre. Uno dei conflitti più importanti di questa fase è quello che si riferisce all’educazione degli sfinteri.
Perché il bambino possa controllare gli sfinteri deve maturare, intanto, la funzione neurofisiologica che presiede al controllo e, poi, deve rinunciare al soddisfacimento immediato legato alla minzione e alla evacuazione. In questo senso, se la madre dà al bambino il tempo di acquisire queste capacità, il conflitto tra i due si mantiene in ambiti fisiologici. Diversamente, se la madre è particolarmente esigente, con qualche problema personale riferito al controllo, alla pulizia e all’ordine, il livello del conflitto si alza, il bambino può rifiutare la consegna educativa, e si può innestare una vera e propria battaglia del vasino. Oppure il bambino si sottomette. In ogni caso, sia che il bambino si sottometta, sia che aderisca alla volontà della madre, egli vive un’ira ribelle e una paura colpevole:
 “ Irritato dall’intromissione della madre nel suo orario di evacuazione, il bambino risponde alle sue richieste con un’irata sfida, alle sue punizioni e alle sue minacce di castighi con un’impaurita obbedienza. La battaglia è un’altalena, e la madre, per rafforzare la propria posizione, fa in modo che il bambino disobbediente si senta colpevole, lo sottopone al meritato castigo, e gli fa domandare perdono” (S. Rado, in S. Arieti, 1977, cap. 18, pag. 345-346).
In ogni caso, sia che prevalga la disobbedienza, sia che si affermi la sottomissione, il conflitto, con il passare del tempo, si incista nel dualismo ribellione-obbedienza e paura-colpa. La dinamica, all’inizio riferita al controllo degli sfinteri, con il tempo si allargherà ad altre situazioni, ed il soggetto tenderà a rispondere anche a queste nuove prescrizioni e divieti con ribellione o sottomissione, ma sempre con paura e sensi di colpa. Si è così instaurato una schema neurotico in cui la paura nel soggetto nei confronti di chi rappresenta l’autorità gli impedisce una libera espressività, anche se, in ultima analisi, non elimina nel soggetto, perfino quando è stata scelta la sottomissione, il suo bisogno di ribellarsi alle imposizioni.
Si può capire quali saranno nel medio e lungo periodo le conseguenze dello schema neurotico descritto. Quando l’Autorità verrà introiettata e inglobata nell’istanza psichica del Super-io, il conflitto sarà tra il Super-io sadico e l’Io masochistico del soggetto. A questo punto, egli tenterà soluzioni di compromesso che non saranno nel senso dell’accordo e della sintesi, ma, in modo rigido e disadattivo, si ostineranno ad affermare, ora la ribellione, ora la sottomissione, accompagnati sempre da paura e sensi di colpa. La dinamica è matura per sfociare in una nevrosi ossessiva.
Quando si instaura la nevrosi, il soggetto pensa di vivere nelle situazioni attuali le sue fonti d’angoscia. Per esempio, è convinto di essere angosciato dal fatto che può aver dimenticato di chiudere il rubinetto del gas, con possibili conseguenze catastrofiche. E così, va a controllare la bombola del gas, si rassicura per un breve momento, ma poi è costretto a ricontrollare l’operazione che aveva fatto qualche minuto prima, ripetendo la sua coazione decine o centinaia di volte. Perché il punto è proprio questo, il controllo: il soggetto non è tanto preoccupato del fatto che può aver lasciato aperto il rubinetto della bombola del gas, quanto dei contenuti di fondo di questa preoccupazione. La bombola del gas e gli eventi ad essa collegati, compresi i rituali, hanno un significato simbolico che poco o nulla hanno a che fare con la situazione oggettiva. La rappresentazione psichica di una fuga di gas con conseguenze catastrofiche è solo un pretesto per rappresentare un altro evento che, invece è interno, soggettivo, essenzialmente psichico. L’evento interno va riferito ad un vissuto di collera esplosiva che vorrebbe manifestarsi all’esterno con conseguenze distruttive, da un lato, mentre la paura e i sensi di colpa conseguenti per aver desiderato questo evento deplorevole, dall’altro, portano il soggetto ad “annullare” immediatamente l’impulso distruttivo originario con una controattività di controllo. Insomma, il soggetto vuole uccidere, animato da una collera esplosiva, ma nel contempo fa di tutto perché il suo impulso non vada a compimento, dominato da forti sensi di colpa e dalla paura di incorrere in gravi rappresaglie. A voler essere pignoli – ma la pignoleria non è nostra (Fenichel op. cit.), si può affermare che il soggetto, nel momento in cui attiva il controllo, in realtà continua ad alimentare la sua dinamica aggressiva. Il controllo del rubinetto del gas è sì controllo dell’impulso aggressivo-distruttivo, ma rappresenta anche l’augurio che possa aver dimenticato di chiudere il rubinetto del gas. Detto in altro modo, quando scopre che non c’è stata dimenticanza, subito, si rassicura, ma, poco dopo, sente il bisogno di mettere di nuovo in dubbio l’efficacia del suo controllo, pensando e sperando di essersene dimenticato: se il controllo è inefficace, pensa il soggetto, la pulsione si realizzerà. Dopo qualche tempo, non trovando sbocco né la sua aggressività né un’efficace soluzione di controllo della pulsione aggressiva, il soggetto si avvita nel conflitto logorandosi in esso.
Da quanto detto fin qui, si possono già fare alcune considerazioni: il nevrotico coatto teme i suoi sentimenti, le sue sensazioni, i suoi impulsi; il suo Super-io è ipertrofico e rigido; l’Io è debole e dipendente dal suo Super-io. Ne consegue che l’Io non riesce a soddisfare nemmeno i bisogni leciti, e ciò per il semplice fatto che non è l’Io a giudicare la liceità dei suoi bisogni. Al contrario, è il suo Super-io, sadico e rigido, che esercita la funzione del giudizio che si manifesta in tutta la sua intransigenza, condannando e somministrando sanzioni. Di qui ne deriva, ancora, che il coatto se, da un lato, deve ubbidire al suo Super-io, dall’altro, per attenuare le tensioni secondarie ai divieti e per recuperare un minimo d’autostima, tende anche a ribellarsi al Super-io. Il conflitto, forte e senza vie d’uscita, si manifesta, certe volte, in comportamenti tragicomici come nel caso riportato da Fenichel (op. cit.):
” Per ragioni ossessive un paziente non riusciva a lavarsi i denti. Dopo non averli puliti per un certo periodo di tempo si prendeva a schiaffi, rimproverandosi”.
Nella dinamica conflittuale tra Io e Super-io, certe volte, si afferma il dubbio, che nel nevrotico coatto esprime il conflitto tra l’esigenza di obbedire all’Autorità, rappresentata dal Super-io, e il bisogno di trasgredire al divieto; che poi significa il conflitto tra la rinuncia alle sue pulsioni e il tentativo di affermarle attraverso la trasgressione. Per allontanarsi dal conflitto reale, il nevrotico coatto può trasformare il suo dubbio vero in un altro, ideativo e filosofico. La sua tendenza a considerare onnipotente il pensiero fa sì che egli si avvolga in elucubrazioni mentali, pesantissime dal punto di vista dell’economia psichica dell’Io e molto improbabili nel senso della comprensione, che lo lasciano stremato e senza soluzione. Ecco un altro esempio riportato da Fenichel nell’opera sopra citata:
“ Un paziente, guardando una porta, fu costretto a ruminare lungamente sul problema: Quale è la cosa più importante, lo spazio vuoto, riempito dalla porta, o la porta che riempie lo spazio vuoto? Questo problema “filosofico” copriva l’altro dubbio: Qual è la cosa più importante nella sessualità, l’uomo o la donna? Il che significava a sua volta: Qual è per me la cosa più importante, la femminilità o la virilità?”.
La soluzione di questo problema filosofico era tutt’altro che semplice: accettando la femminilità, si sarebbe sottomesso , sconfitto, al volere sadico e castrante del Super-io; scegliendo la virilità, si sarebbe ribellato sì al suo Super-io, affermando i bisogni dell’Es, ma con esiti verosimilmente catastrofici, per effetto della rappresaglia certa e fortemente punitiva del Super-io.
Per concludere la nostra trattazione sulla nevrosi ossessiva, e per cogliere i motivi conduttori della sua psicodinamica, bisogna prendere in considerazione questi fattori essenziali: il complesso edipico, conflitto nucleare della nevrosi, la regressione alla fase sadico anale con complicanze del quadro clinico. La recrudescenza della severità del Super-io, che per effetto della regressione diventa sadico e più punitivo, porta il nevrotico coatto a combattere su due fronti, vale a dire, contro l’Es e le sue richieste istintuali e contro il Super-io. Ora, se si considera che nel corso del trattamento l’analista è percepito come autorità superegoica, vale a dire, come nemico da combattere nel tentativo di affermare i propri bisogni, e se a ciò si aggiunge il fatto che l’analista, nel tentativo di stemperare la rigidità delle istanze morali del paziente, può apparire anche un corruttore e quindi un rappresentante dell’Es, si può facilmente capire come l’analisi di questa nevrosi sia particolarmente impegnativa e, il più delle volte, lunga.

Tratto da: http://www.sublimazioni.it/nevrosi%20ossessiva.htm